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Estetiche totalitarie

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KoreafuneraliVi risparmio la minuziosa serie di ingrandimenti e raffronti che hanno permesso al professor Hany Farid del Darthmouth College, ormai il più famoso segugio di photoscippi clandestini al mondo, di affermare che una delle fotografie dei funerali del leader nordcoreano Kim Jong-il diffuse dalle agenzie di stampa internazionali è stata manipolata. Leggete, se vi appassionano queste indagini alla Csi, il relativo resoconto sul sempre eccellente blog Lens del New York Times.

Fatto? Bene, la domanda che fino a tre quarti di lettura dell'articolo mi assillava era: ma insomma, tutta questa raffinata intelligence solo per dimostrare che qualcuno ha eliminato le piccole silhouette di cinque o sei persone e di un cavalletto fotografico dai margini di una fotografia panoramica, dettaglio peraltro banale e poco significativo?

Se siamo consapevoli che il 100% delle fotografie mediatizzate oggi passa per qualche genere di manipolazione digitale, e una percentuale sicuramente poco inferiore ne esce con qualche dettaglio in meno o in più, che cosa ci dice un ritocco che, a detta degli stessi investigatori, non sembra tradire una qualche forma di censura politica particolare (di certo nulla di paragonabile alle eliminazioni virtuali, sovietiche o cinesi, dei dirigenti caduti in disgrazia)?

LensConfrontoCoreaEppure qualcuno ha manipolato, la dimostrazione mi sembra abbastanza convincente. Avendo le agenzie che hanno diffuso l'immagine scaricato la responsabilità delle alterazioni al "supplier", ossia al fornitore, ossia l'agenzia di stampa di Stato nord-coreana, la mia prima riflessione è che una fotografia alterata da una fonte interessata, organo di un regime autoritario, ha potuto finire tranquillamente nel circuito delle agenzie internazionali indopendenti, la cui autorevolezza invece dovrebbe garantire fotografie "accurate", senza rimozioni o aggiunte. Conta poco che, dopo i raffronti con una fotografia scattata direttamente da un fotografo dell'Ap, dalla stessa posizione e a pochi secondi di distanza, le agenzie abbiano "killato", cioè dichiarato inattendibile e ritirato dell'archivio, la fotografia "di regime" così simpaticamente fornita.

La seconda cosiderazione, che Lens butta lì maliziosamente nelle ultime righe dell'articolo, e che mi trova assolutamente d'accordo, è che non esisono manipolazioni del tutto ingenue, soprattutto se le compie un regime dittatoriale. Affogare nella neve clonata di Photoshop quel gruppetto di persone "devianti", probabilmente perché non si accalcavano plaudenti e piangenti assieme alle altre, come da copione del cordoglio obbligatorio, non è affatto un'alterazione minore e non significativa, è un modo per blindare "una certa perfezione marziale della scena". Per cui, assolutamente, si tratta di un piccolo grande esempio di "estetica totalitaria".

"Non mi piacciono i comunisti per l'idea che si sono fatti della fotografia", pare abbia detto un giorno Vladimir Nabokov. Credo che quell'idea sia piuttosto condivisa con altre ideologie totalitarie, ma di certo la monarchia ereditaria rossa nord-coreana sembra piuttosto ansiosa di dar ragione all'autore di Lolita.

Le foto: Associated Press, via Kyodo News; Korean Central News Agency, via European Pressphoto Agency (dettagli; dal blog Lens)

[Queste fotografie, nel rispetto del diritto d'autore, vengono riprodotte ai sensi degli artt. 65 comma 2, 70 comma 1 bis e 101 comma 1 Legge 633/1941.]



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